Editoriale Giugno
Cosa vuol dire vestirsi per bene? Le tendenze della moda negli ultimi cento anni sono state così diverse, estreme e spiazzanti che sembra essere difficile trovare un minimo comune denominatore che le possa accomunare nel concetto di eleganza. La moda da sempre subisce l’influenza dei momenti storici, del pensiero, della musica o delle lotte politiche per lanciare tendenze che diventano uniformi soprattutto per i giovani, per chi quei pensieri li cavalca e li comprende.
Qualche esempio? I jeans di rottura indossati da Elvis e da James Dean negli Anni ‘50 che dall’America arrivano a rivoluzionare il perbenismo europeo del dopoguerra. In Europa sono gli anni della ricostruzione e del miracolo economico e se Parigi detta legge con le creazioni di Emilio Schuberth e Christian Dior, il mondo della moda comincia ad essere investito dal consumo di massa tanto che a Firenze nasce l’industria della moda italiana con la prima sfilata a palazzo Pitti nel 1952 con modelli che non fossero fatti su misura. Se prima vestirsi bene voleva dire imprigionarsi in rigidi corpetti e sottogonne ora gli abiti diventano più facili e portabili, fino all’arrivo della nuova rivoluzione di Coco Chanel che sdogana i pantaloni e i look alla garçonne, toglie i colli dalle giacche e li riempie di collane.
Ma dovevano arrivare gli Anni ‘60 e la musica dei Beatles e i Rolling Stones per ridurre drasticamente gli orli delle gonne grazie al colpo di genio di Mary Quant e alle atmosfere irripetibili della swinging London, dove nascono le vere ribellioni giovanili. Le seguaci di Twiggy, la prima magrissima top model universalmente nota, indossavano microgonne, stivaloni, i capelli a caschetto e le ciglia finte: eccentricità, rottura col passato, voglia di vivere, rock and roll.
Negli Anni ’70 invece le ragazze sono più toste, non vogliono essere notate per la bellezza e il sex appeal ma rivendicano a dispetto dell’apparenza la loro l’intelligenza e l’impegno politico. Sono gli anni delle rivolte studentesche, del femminismo, del rifiuto della guerra e del peace and love: gonne lunghe e abiti hippy, jeans a zampa di elefante e vita bassa per mostrare quel ventre di cui vogliono disporre secondo la loro volontà. Sono gli anni della rivoluzione sessuale e del tutto è possibile. Anche in questo periodo storico l’abbigliamento, che oggi non definiremmo perbene, serviva a fare stare bene un’intera generazione di ragazze che avevano ideali di parità, emancipazione e indipendenza.
Doveva arrivare quel genio di Armani negli Anni ‘80 per creare finalmente per le donne in carriera un look che non le facesse sentire sul luogo di lavoro meno autorevoli degli uomini ma ugualmente femminili: i tailleur pantaloni con giacche destrutturate ma con le spalle forti hanno ridefinito lo stile in un momento storico ben preciso, quello in cui le donne hanno iniziato a pesare nella vita sociale e pubblica. Da lì in poi la moda ha seguito il cambiamento dei tempi consacrando i grandi brand italiani come linee guida dello stile: la donna ormai aveva mille volti e poteva scegliere in base alla propria personalità, se essere mediterranea e sexy in Dolce e Gabbana, raffinata e chicchissima indossando Valentino, selvaggia e animalier con gli abiti di Roberto Cavalli, romantica alla Blumarine o intellettuale come veniva disegnata da Miuccia Prada.
Le lotte femminili nel XXI secolo non sono più solo quelle delle donne: le nuove generazioni oggi scendono in piazza per riconoscere la parità di genere e per sensibilizzare i grandi della Terra nei confronti di un problema che è globale e riguarda tutti, l’attenzione per il pianeta. E la moda, ancora una volta accompagna questo impegno sociale con altri cambiamenti. Le collezioni delle ultime stagioni sono sempre più unisex assecondando il diritto di ognuno ad essere esattamente come si sente, senza più diktat ed etichette: maschile e femminile si mescolano in una moda fluida, senza confini, libera come non è mai stata prima.
Vestirsi per bene oggi vuol dire più che mai sentirsi bene dentro un’immagine che è il nostro biglietto da visita nei confronti del mondo esterno, l’abito è la prima cosa che si vede di noi e ognuno ha il sacrosanto diritto di interpretarlo come vuole. Ma vestirsi per bene vuol dire anche indossare consapevolmente capi che siano durevoli, frutto di una filiera tessile che rispetti i parametri di sostenibilità, una moda che non inquini l’ambiente, che rispetti gli animali e le piante.
Oggi vestirsi per bene è una responsabilità comune che abbiamo nei confronti di noi stessi e del nostro pianeta, non solo un fatto di eleganza estetica.
Crida lo sa e lo fa, non solo a parole. È più difficile e più costoso seguire questo impegno ma è indispensabile che sia condiviso dalle imprese e dai consumatori, soprattutto i più giovani. Mi vesto per bene perché so che il mio abito è una bandiera, che racconta non solo la mia immagine ma anche i valori in cui credo.