Cristina Parodi lancia Crida, marchio sussurrato di capi d’abbigliamento comodi e chic. – D.Repubblica
Con Daniela Palazzi, l’amica di sempre, la giornalista tv realizza un sogno nel momento più difficile dal dopoguerra. “Tante donne come noi desiderano abiti eleganti, italiani e di qualità che possano restare nell’armadio per più stagioni”. La ‘capsule collection’ a km zero, “atto d’amore per il nostro Paese”, è nata a Bergamo, la città più martoriata dal coronavirus: “Abbiamo respirato il dolore nel silenzio intorno a noi”
Sorellanza di stile. Cristina Parodi e Daniela Palazzi si sono lanciate nel mondo dell’abbigliamento. Da questa settimana in boutique e on-line, debutta la prima capsule collection di Crida, il nuovo marchio nato dall’incontro della giornalista e volto tv con l’amante di arte e design. Entrambe mamme (in due hanno sette figli), condividono un’amicizia lunga vent’anni e la stessa idea della moda: sussurrata più che gridata, sostenibile, facile da indossare, di qualità e completamente Made in Italy. Il sogno delle due amiche è diventato realtà nel momento più difficile dal dopoguerra.
Come è nata l’idea, ce lo spiega al telefono Cristina Parodi: “Ci abbiamo pensato tanto, erano anni che ci facevamo confezionare vestiti in seta o in cotone immaginati da noi. Poi non avendo più un programma quotidiano in tv e con molto più tempo libero a disposizione, ci siamo dette: “ora o mai più” e ci siamo buttate con dieci abiti, una giacca e un trench. Chi avrebbe potuto immaginare che di lì a poco sarebbe successa una tale sciagura? All’ultima Fashion week milanese avevamo presentato la nostra capsule collection con tanti riscontri positivi, e tanti ordini soprattutto dall’estero. Eravamo contentissime. Poi quando eravamo pronte a fare il botto, non solo si è fermato tutto ma abbiamo avuto anche tante disdette, ci siamo dovute ridimensionare. La nostra collezione è online ma prima i nostri capi devono arrivare nei negozi, devono essere visti, toccati, indossati”.
Come state ripartendo?
“Dopo questo periodo di stop totale ci siamo rimesse in marcia. I bergamaschi sono gente tosta, che non lascia mai le cose a metà e le porta fino in fondo. Gli ordini che non sono stati cancellati li abbiamo spediti. Siamo tornate in manifattura e ora comunichiamo il nostro progetto che, pur essendo partito prima della pandemia, è in linea con un nuovo sentire che ha raccontato bene Giorgio Armani quando si è espresso in favore di una moda più umana che non rincorra continuamente i trend di stagione con costi esagerati. Quella dell’eleganza senza tempo è anche una nostra idea fissa. Forse, dopo questa battuta d’arresto, si comincerà a pensare in termini di contenuti ed emozione. Penso e spero che quando le donne torneranno nei negozi avranno voglia di trovare qualcosa che non sia solo lo sfizio di stagione da mettere solo un paio di volte: non è più il momento dell’usa e getta, anche da un punto di vista economico, A noi era sembrato fin dall’inizio della nostra avventura che ci fossero delle donne come noi in cerca di qualcosa di diverso, di italiano, con tessuti super naturali e sostenibili per l’ambiente, di abiti femminili e comodi al tempo stesso, italiani e adatti per situazioni formali ed eleganti, buoni sia per il mattino che la sera che rimangano nell’armadio per più di una stagione”.
Ben prima della pandemia, avete concepito la vostra collezione come un omaggio all’Italia e all’italianità…
“Fin dall’inizio il nostro è stato un messaggio d’amore per il nostro paese, il Made in Italy e le sue filiere. Ora più che mai sosteniamolo, compriamo vestiti italiani e tutto ciò che viene creato qui. Restiamo in Italia anche perr le vacanze. I nostri capi si ispirano alle nostre città che dobbiamo poter tornare presto a visitare. E i modelli della nostra capsule hanno nomi come ‘Firenze, Positano, Taormina, Roma, Venezia”. E colori che suonano così: “luminosa come una mattina sul Lungarno’ o ‘Rosso come un tramonto sul Gianicolo’.
Nella comunicazione avete puntato anche sulla famiglia…
“Al glamour e al patinato abbiamo preferito associare un’immagine calda e famigliare con i valori che ci appartengono, che piacciano a noi e alle nostre figlie”.
Per ricevere un capo ci vogliono circa tre settimane…
“Alcuni capi li abbiamo già, altri li produciamo sul momento, come si fa con gli abiti sartoriali. Siamo una realtà di nicchia con l’ambizione di diventare grande. Vendiamo on-line e in boutique, abbiamo negozi dal Piemonte a Baden Baden in Germania”
Tra i vostri modelli dall’ allure sobria e borghese, c’è solo un abito trasparente e sexy che spariglia. Come mai?
“E’ stato un errore, (ride ndr), il tessuto nero non era pesante come pensavamo, ma alle amiche delle nostre figlie è piaciuto subito”
Le sue figlie, Bendetta e Angelica, l’hanno aiutata?
Non vedevano l’ora di vedere i primi disegni, e quando i primi capi sono arrivati in showroom, Benedetta, che è la più grande, ha scattato le prime foto e compare in tanti immagini per i social. Più delle supermodelle, per quanto belle e professionali, preferiamo mostrare gli abiti indossati dalle mie figlie, da un’amica, e in generale da persone normali perché raccontano qualcosa in più. Ora per esempio c’è l’immagine di mia sorella (Benedetta ndr) che ha messo un nostro abito giallo per il suo primo giorno di lavoro in un nuovo programma. Volevamo comunicare anche un messaggio di ‘girl power’, di soddisfazione. Così come io e Daniela a cinquant’anni ci siamo rimesse in gioco facendo una piccola rivoluzione, così ci piace che le donne – hanno portato più di tutti sulle spalle la fatica e la difficoltà di stare in casa – ci possano raccontare i loro obiettivi raggiunti, dall’essere riuscite a rientrare in un paio di jeans, a essersi ritagliate uno spazio solo per loro o un nuovo lavoro”.
Ha imparato in famiglia a lavorare con le donne?
“Ho dei legami forti con le mie sorelle, le amiche, mia cognata. Non sono mai stata in competizione con l’universo femminile, invece di invidiare, ammiro le donne in gamba. Ma questo sentimento purtroppo non è così diffuso. La sorellanza e l’aiuto recirpoco sarebbero utile da portare avanti ma c’è ancora un po’ di strada da fare perché ci riconoscano pari diritti. Lo vedo nei social, ci sono cattiverie terrificanti che mi feriscono. A fronte di tante belle testimonianze ricevute, ce ne sono state altre di segno opposto. E’ come se il successo invece di inorgoglire desse fastidio”
È vero che la vedremo presto su TV8?
“Ci ho pensato a lungo ma poi ho deciso di rinunciare. A Crida pensavo da anni, ora ho voglia di concentrarmi solo su questo progetto, poi si vedrà”.
Vivete nella città più colpita dalla pandemia, le immagini della macabra sfilata delle casse mortuarie nei mezzi militari resterà per tutti un ricordo indelebile. Suo marito, Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, è stato ed è in prima linea. Come l’ha cambiata la pandemia?
“Da vent’anni sono l’ambasciatrice del Cesvi, ma questa volta sono stata coinvolta anche per raccogliere fondi, una cosa che non avevo mai fatto. Poi ho scoperto quanto mi piace accudire la mia famiglia. Ho sempre lavorato in altre città, facendo avanti e indietro. Da due mesi sono a casa con i miei ragazzi e pranziamo e ceniamo tutti insieme, è un’esperienza molto bella. Ognuno collabora: mio figlio Alessandro ha fatto la spesa per gli anziani, e quindi è diventato l’addetto anche dei nostri acquisti, le ragazze mi hanno dato una mano e tutti tengono a posto la loro stanza. All’inizio avevamo paura: Giorgio non ha mai pensato che si sarebbe potuto ammalare però si è sempre protetto. Quando rientrava lo assalivamo: ‘lava le mani’, ‘togli la mascherina’…Per fortuna stiamo tutti bene”
Il lutto vi ha toccato direttamente?
“A Bergamo chiunque io conosca ha perso qualcuno o aveva uno o più malati in famiglia. Solo adesso sono venute fuori le cifre reali della pandemia ma noi lo sentivamo. Il dolore si respirava nel silenzio tutt’intorno. Da noi quei momenti di allegra condivisione come i canti dalle finestre o gli aperitivi via social non ci sono mai stati. Ora, poco per volta, la città si sta risvegliando, siamo gente silenziosa che va avanti a testa bassa ma c’è bisogno di fondi per sostenere il nostro territorio fitto di imprese anche piccole in difficoltà”.
di Silvia Luperini
Fonte: https://bit.ly/3eOck1h