Grazie Re Giorgio per averlo detto: “Sono stufo di vedere una matta che gira in mutande in via Montenapoleone a Milano. Donne trasformate in un oggetto del desiderio… e se c’è un 50 per cento degli uomini che le ama così, c’è un 50 che dice di no”.

La recente fashion week di Milano ha secondo me fortemente ribadito questo appello all’eleganza. Sulle passerelle si è vista più concretezza e stile e meno esibizionismo. Ma nessuno come lui ha avuto il coraggio di esprimere il concetto con simile chiarezza. Vestiamo le donne con eleganza e non solo con provocazioni: questo il suo diktat al termine di una sfilata magnifica e caratterizzata da fiori che sbocciavano sui capi invernali in velluto e sete preziose.

Devo dire che in questa fashion week milanese io ho visto poche follie e tante tendenze portabili ed eleganti. Cappotti magnifici e brillanti, tacchi bassi con gli abiti da sera, allure retrò nelle gonne leggere abbinate a giacche maschili pesanti. È ricomparso perfino il corsetto e il cappello con la veletta, simbolo intramontabile del fascino femminile delle nostre nonne.

Bisogna conoscere il passato, sapere da dove veniamo, per capire chi siamo oggi. La moda non solo è depositaria della nostra storia ma riflette in modo infallibile le vibrazioni e i sentimenti della società attuale. Oggi, di fronte a tante incertezze, abbiamo bisogno di qualcosa che rassicuri: un bell’abito nero di ottima fattura, una borsa elegante, un cappotto caldo che rifletta nella decorazione la luce della speranza.

Un mood che compare anche nella fall/winter di Crida che abbiamo presentato durante la fashion week con un evento a Milano, molto apprezzata dalla stampa. Anche nella collezione Crida del prossimo inverno ci sono capi senza tempo, c’è la grinta del nero e del grigio, la leggerezza dello chiffon sfumato, l’eleganza del pois.

Ma adesso è tempo di primavera e di colore e mai come quest’anno i nostri abiti, che già trovate online e nei negozi, rispecchiano la voglia di leggerezza, di estate e di colore.

Andate a cercarli sul nostro sito per scoprire il mondo di Acqua, questo il nome della collezione, ispirata alla Puglia e alla sua bellezza.

E buona primavera a tutti!

Siete pronti per la nuova collezione Crida?

Sta per arrivare nei negozi e sul nostro sito “ACQUA”, la spring summer di Crida, dedicata a una delle regioni più belle d’Italia: la Puglia.

I colori del mare nelle sfumature di seta, chiffon e cotone, ci parlano di sere d’estate, di luce e di vento, di eleganza facile e raffinata, in una parola: dello stile Crida.

Tanti anche gli abiti da indossare in città, chemisier e completi in fantasia e tinte unite, per accompagnare ogni momento della giornata. E non ci sono solo abiti: debutta il primo tailleur Crida per le amanti di giacca e gonna, una pencil skirt che sta bene a tutte e una giacca speciale, diversa dal solito blazer e super femminile.

Per le occasioni importanti c’è l’abito monospalla, uno speciale long dress da sera dalla costruzione impeccabile che si indossa come una t-shirt, senza cerniere. E poi gli abiti sfumati per non passare inosservate nelle sere d’estate.

Come sempre troverete tutto nei tanti negozi che ci distribuiscono e sul nostro sito a partire da metà febbraio.

Continuate a seguirci su Instagram e su Tiktok dove vogliamo raccontarvi con i video la parte meno visibile del nostro lavoro, ma anche la più interessante. Vi portiamo nelle manifatture che confezionano gli abiti Crida, aziende di eccellenza che si trovano tra Bergamo Milano e Brescia per ribadire anche con le immagini il valore del Made in Italy, in cui crediamo e che sta alla base di questo progetto

Make a wish, esprimi un desiderio. È l’augurio che vi abbiamo fatto con il nostro video delle feste. Chi di noi non ha qualche desiderio da avverare per sé o per gli altri? Un sogno magari piccolo e privato oppure molto più importante… In ogni caso, l’inizio dell’anno ci spinge sempre a fare bilanci, a esprimere buoni propositi, a voltare pagina e andare avanti. Per noi di Crida il 2023 è stato un anno cruciale di crescita e consolidamento e ora il 2024 si annuncia ricco di altre sfide.

Intanto mantenere fede ai nostri principi di moda italiana e sostenibile, in un settore sempre più diviso in due macro entità: i brand del lusso e la fast fashion. Ecco, noi orgogliosamente vogliamo collocarci nel mezzo, rappresentare uno stile di vita e di eleganza per le donne che scelgono consapevolmente cosa indossare, guardano le etichette, toccano i tessuti e non hanno bisogno di un logo per sentirsi chic. Non è facile percorrere questa strada, perché oggi comprare tessuti che non siano d’importazione e lavorare con le manifatture italiane ha un costo altissimo, ma noi non vogliamo venir meno al progetto che nel 2020 avevamo sognato e ideato.

Io e Daniela abbiamo appena concluso il campionario del prossimo inverno (sapete che la moda è sempre avanti sei mesi rispetto a ciò che trovate nei negozi) e abbiamo costruito questa nuova collezione che presenteremo a febbraio proprio con la visione ideale di un guardaroba che sia facile e nello stesso tempo raffinato. Allure metropolitano, con diversi tocchi di nero, silhouette più asciutta, meno gonne a ruota e più abiti e gonne a matita, ideali per il giorno ma facilissime anche per la sera.

Ecco, il nostro sogno per quest’anno è fare arrivare alle donne il concetto che la moda non è ostentazione, lusso e apparenza. È innanzitutto sostanza, fibre, tessuti, dettagli che nel loro insieme rendono un outfit raffinato e facile da indossare dal mattino alla sera.

Questa è la nostra sfida e il fatto di incontrare sempre più donne che indossano i nostri capi ci fa pensare di essere sulla strada giusta.

Gennaio, lo sapete, è anche il periodo degli special prize e delle occasioni da non perdere. Ma è anche quello delle diete post feste, delle iscrizioni in palestra o, come faccio io, dell’astinenza da alcol.

Prima che ci invada totalmente la tristezza per queste privazioni, possiamo consolarci acquistando qualcosa che desideravamo da tempo e che oggi diventa più facile da comprare. Seguite quindi con attenzione i nostri social perché dalla metà del mese ci saranno delle occasioni da cogliere al volo che saranno segnalate sulla newsletter e sulla pagina Instagram di Crida.

Il nostro augurio è che tutti i vostri sogni possano avverarsi, come quelli della bimba che, nel nostro video, chiudeva gli occhi davanti alla giostra.

“Se domani tocca a me voglio essere l’ultima”

La poesia di Cristina Torres Caceres, che vi invito a leggere se non lo avete ancora fatto, è un pugno nello stomaco.

È la lettera scritta alla madre da una delle tante ragazze che vivono sulla loro pelle la paura dei femminicidi.

Parlando con le mie figlie di 22 e 27 anni ho capito che c’è una distanza siderale tra il loro modo di pensare e vivere questa situazione e il nostro. Mi ha colpito molto la condizione di estrema vulnerabilità’ che anche loro avvertono: tornando a casa la sera, viaggiando da sole o lavorando in una società che solo apparentemente accetta l’empowerment femminile, ma che continua a considerare le donne oggetti da ammirare, anche con commenti non richiesti, che pongono le ragazze in condizione di inferiorità e di disagio.

Se entro in un bar a prendere un caffè e il barista mi dice “ma come sei bella, quando torni da queste parti?”, non va bene mi dice mia figlia. E io che di situazioni simili da giovane ne ho vissute tante, mi rendo conto di non aver ma dato peso a frasi come questa, anzi di esserne stata quasi lusingata.

Sbagliando.

Perché difficilmente in una situazione opposta, barista donna e giovane carino che entra nel locale, ci sarebbe un simile approccio.

Segno che la cultura maschile continua ad essere incentrata sul potere del maschio dominante che giudica la donna dall’aspetto.

Quante volte noi donne siamo valutate per la nostra fisicità? Sei grassa, sei magra sei vecchia sei sexy. Quante volte i media presentano donne autorevoli e affermate nel proprio campo dicendo: ecco a voi la bellissima e bravissima tal dei tale. Se si tratta di un uomo il giudizio estetico ovviamente viene omesso. Lui è autorevole e basta.

Io credo che sia arrivato il momento di fare una riflessione profonda su come stanno crescendo i nostri ragazzi, influenzati non solo da questi comportamenti infelici, ma anche dalla violenza verbale dei social e da un tipo di musica, rap e trap, che è un inno continuo alla forza e al potere maschile nei confronti delle ragazze che o sono troie o sono di proprietà di un singolo. Un ragazzo oggi può avere tante donne ed è un figo, una ragazza che ha avuto tante relazioni è una poco di buono.

Per affrontare l’emergenza femminicidi (e siamo arrivati a 105 vittime dall’inizio dell’anno in Italia) devono cambiare gli uomini, quegli stessi che oggi dicono “io non sono come loro “per alleggerire la propria responsabilità individuale.

Non basta.

Forse lo diceva anche Filippo Turetta, l’ultimo assassino, prima di aggredire Giulia Cecchettin, ucciderla a coltellate e abbandonarla in un dirupo. Eppure sembrava un bravo ragazzo, tanto che il suo avvocato, uomo, si è affrettato a raccontarci che lui l’amava tantissimo e che le faceva perfino i biscotti.

Io credo che oggi ci sia ancora troppa distanza tra i due sessi nella percezione del problema.

Le donne sono sempre più forti e gli uomini, nonostante gli atteggiamenti machisti, sempre più fragili. Non ci sarebbe niente di male in questa evoluzione della società (tutto ciò che abbiamo ottenuto ce lo siamo ampiamente meritato) se non fosse che alcuni uomini non sono in grado di gestire il cambiamento di ruoli, si sentono sottovalutati, sminuiti e finiscono per trasformare la loro debolezza in aggressività e violenza. Giulia si sarebbe laureata prima di Nicola, era più brava, e sarebbe andata via a lavorare, Giulia non sarebbe più stata la sua ex fidanzata sempre a disposizione per una pizza o un giro in città. Giulia avrebbe incontrato qualcun altro, come è giusto che sia per una giovane donna che ha deciso che lui non rappresentava più il suo futuro.

Quindi lui, invece di perderla, lui l’ha uccisa.

Ma questo ragazzo che viene da una famiglia borghese, che frequenta ingegneria biomedica, e probabilmente immagino avesse letto storie e testimonianze sui femminicidi, come poteva essere convinto che tutto ciò non lo riguardasse? Come poteva non sentirsi parte del problema?

E soprattutto: se il problema sono gli uomini, perché di femminicidi parlano solo le donne?

Io vorrei per questo 25 novembre una manifestazione contro la violenza femminile fatta solo di uomini, perché sono stanca di sentire in queste occasioni solo consigli su quello che dobbiamo o non dobbiamo fare noi: come proteggere le potenziali vittime, in che modo aiutarle a denunciare, guai ad andare all’ultimo appuntamento.

Smettiamola di chiederci perché Giulia ha accettato di incontrare Filippo o perché è salita su quell’auto. La domanda che dobbiamo farci è: perché non riusciamo a crescere i giovani con un’educazione sentimentale basata sul rispetto e sulla parità? Perché gli uomini ancora uccidono le donne?

Quando sono entrata nella stanza adibita a trucco e parrucco con il portabiti Crida tra le braccia ho visto le donne, sedute davanti agli specchi, girarsi e guardarmi con interesse. Erano tutte diverse tra loro, ma con un tratto comune, il sorriso stampato sul viso e gli occhi incuriositi di fronte a un’esperienza nuova. Siamo all’hotel Fairmont di Montecarlo, cuore del lusso e della mondanità del principato, dove io e Daniela, che non stiamo mai ferme, siamo venute a fare un pop up con i nostri abiti per incontrare le clienti e amiche monegasche. Ma qui la platea era un’altra. A ben guardare queste donne, più o meno della nostra età ma anche più giovani, avevano qualcosa di unico e speciale: alcune i capelli cortissimi che stavano ricrescendo, altre (me ne sarei accorta dopo, vestendole) un solo seno e cicatrici o medicazioni di interventi recenti. Erano pazienti oncologiche seguite da una organizzazione (contact@ecoutecancerreconfort.org) che le aiuta nel recupero post operatorio, il momento più difficile nella vita di una donna che, dopo un intervento di questo tipo, si sente privata della sua femminilità e bellezza. L’idea stupenda avuta da Vera Facchetti, l’organizzatrice dell’evento, è stata di regalare a queste guerriere un momento indimenticabile di visibilità attraverso una sfilata alla quale Crida ha aderito con entusiasmo. Niente di originalissimo e rivoluzionario, intendiamoci, iniziative di questo tipo sono state fatte da tempo e molte sono ormai anche consolidate negli anni con grande successo, ma se un’idea è bella e fa del bene agli altri perché non replicarla? Copiare in questo caso è legittimo e ben accetto. 

Faccio questa riflessione perché mi ha colpito la polemica sollevata da Raptus and Rose, un brand che ammiro proprio perché’ da anni dà vita a una grande sfilata con pazienti che hanno conosciuto e sconfitto il cancro, nei confronti di un’altra maison come Antonio Marras per avere creato, con la poesia che lo contraddistingue, una ventina di abiti per altrettante pazienti oncologiche che sfilando hanno dimostrato la loro forza ed esaltato la loro bellezza mandando un messaggio fortissimo di solidarietà e di speranza. Il tema era: hanno rubato la nostra idea, facendo una cosa simile a quella che noi da tempo facciamo con successo. La moda è creatività e novità certo, ma quante volte serenamente copia qualcosa dagli archivi passati o da altre realtà? In questo caso copiare e replicare un ‘iniziativa che dona fiducia alle donne in un momento di fragilità e le pone al centro di un universo di solito rappresentato da testimonial molto più famose ma scontate, mi sembra non solo un problema ma un’opportunità bellissima. 

La nostra piccola sfilata monegasca non è stata oggetto di nessuna polemica anche perché non aveva ambizioni di visibilità né la forza comunicativa delle altre che ho citato. Poco importa. L’intento era solo quello di rendere felici e protagoniste per un giorno con la loro bellezza, donne che avevano bisogno di essere ammirate e applaudite e così è stato. 

Ogni volta che una donna esce dal camerino con un abito Crida per guardarsi allo specchio e vedere come sta per noi è una emozione fortissima, ma seguire i preparativi di quella sfilata, scegliere con queste donne fragili eppure determinate l’abito più adatto alla loro fisicità, decidere gli accessori e infine guardarle entrare nella sala bellissime con abiti lunghi di seta colorata, gli occhi che brillavano e il sorriso sul viso, è stato un arcobaleno di emozioni che non dimenticheremo. Mai come quel giorno siamo state orgogliose di avere creato dei capi eleganti ma facili, che stanno bene a tutte e che donano gioia, allegria e stile a chi li indossa. 

La moda di domani ci è passata davanti in queste settimane di sfilate in tutta la sua bellezza, potenza creativa e originalità, ma anche nel suo ruolo più importante: quello di interpretare la società e lanciare messaggi profondi. È questo il compito di ogni griffe. Oggi non si può più soltanto creare vestiti, bisogna raccontare una visione, avere un’idea forte da trasmettere affinché l’acquisto di un prodotto non sia più solo dettato dall’estetica, ma anche dall’ideale che rappresenta e nel quale ciascuno di noi si vuole identificare. Insomma, la moda è sempre più una cosa seria, non solo dal punto di vista del business economico (l’industria italiana del fashion fattura 102 miliardi di euro e va sempre meglio), ma anche come espressione di un pensiero.

Ho apprezzato che in quasi tutti gli show ci fossero differenti tipologie di donne, con fisicità, misure e colori decisamente diversi: questa è una conquista ormai raggiunta, almeno sulle passerelle, grazie alla mentalità aperta dei designer per i quali fluidità e diversità sono sempre un valore aggiunto. Ma in ogni sfilata c’è anche un messaggio più profondo:

  • Maria Grazia Chiuri per Dior continua l’esplorazione del legame tra femminilità e femminismo, con un elogio alle streghe che nel suo immaginario sono tutte le donne forti e ribelli della nostra società.
  • Gucci, lo show più atteso di Milano per il debutto di sabato di De Sarno, ha voltato pagina partendo dal minimalismo del lusso reinterpretando in chiave contemporanea i pezzi cult della maison privati di tutti gli eccessi.
  • La modernità di Yves Saint Laurent è la sahariana, un ritorno alle origini nel segno della semplicità, per ribadire che la cosa più importante non è l’outfit, ma la donna che lo indossa.
  • E poi Prada, voglia di leggerezza; Fendi, accostamento di colori pazzeschi; Bottega Veneta e Tod’s, l’artigianalità italiana al livello più alto possibile: queste sono state a mio parere le più speciali.

Crida, fin dall’inizio della sua storia, ha sempre avuto un pensiero ben preciso: quello di creare qualcosa che aiutasse la donna di oggi ad essere se stessa e a sentirsi bella in ogni momento della sua giornata. E considerando quanto oggi sia cambiato il ruolo femminile nella società, sappiamo bene che la sfida doveva essere realizzare qualcosa che fosse perfetto stilisticamente, contemporaneo, ma anche estremamente easy.

Solo qualche decennio fa le nostre mamme indossavano raramente e solo per le occasioni importanti gli abiti eleganti, ben conservati negli armadi sotto naftalina, utilizzando nel quotidiano, che era molto più legato di oggi alle faccende di casa e alla cura dei figli, un abbigliamento molto più dimesso.

La nostra personale rivoluzione è stata quella di offrire alle donne un guardaroba che possano indossare dalla mattina alla sera per le mille cose che facciamo in una giornata, spesso senza fermarci un attimo: portare i bambini a scuola, andare in ufficio, andare ad appuntamenti fuori, nei ritagli del tempo fermarsi al supermercato a fare la spesa, ma poi, perché no, trovarsi con le amiche per un aperitivo o magari andare a cena fuori.

È possibile affrontare tutti questi impegni sentendosi sempre a posto e con un unico outfit? La nostra risposta è sì. Purché l’abito che indossiamo sia elegante ma easy, raffinato ma anche confortevole, realizzato con tessuti naturali e di taglio impeccabile. Mettere un abito di seta alla mattina per andare in palestra e poi schizzare al lavoro, e poi dal parrucchiere perché la sera c’è una cena speciale? Sì, ma certamente non con un sandalo tacco 12, meglio con un mocassino o uno stivale, una giacca buttata sulle spalle o un coat destrutturato e easy, ma comunque impeccabile.

Siamo cresciute io e Daniela in questi quasi quattro anni di lavoro continuo, sempre guidate da questo obiettivo preciso. In ogni collezione aggiungiamo un pezzo, un accessorio o un abito più di tendenza per rendere unica e indimenticabile la donna che sceglie Crida. Ci siamo riuscite? Questo dovete dirlo voi. E considerando le tantissime donne che incontriamo in giro con i nostri abiti, felici e bellissime, potrebbe essere un sì.

Vi aspettiamo in Rinascente Milano fino al 16 ottobre!

Bentornati ai vostri posti di lavoro, ai problemi da risolvere in ufficio, alle lavatrici con costumi e parei che per un po’ riposeranno nei cassetti e alle preoccupazioni per gli sbalzi climatici di questa stagione strana che passa dal caldo torrido alle bufere invernali in 24 ore. Insomma si ricomincia, in questo settembre che dovrebbe essere un mese dolce di ricordi estivi e che invece ti riporta subito coi piedi per terra, l’ombrello nella borsa e il cervello vigile per affrontare gli imprevisti che immediatamente arrivano alla tua scrivania. E le vacanze sembrano già lontanissime…

È successo così anche per noi di Crida che, tornate al lavoro dopo essere state al mare (entrambe io e Daniela in Sardegna ma senza mai vederci ahahah), ci siamo rese conto di essere diventate grandi, visto che siamo state illegalmente copiate. Uno sconosciuto brand di moda low cost dal nome simile al nostro ha pensato di utilizzare le nostre immagini per vendere online i suoi abiti di tutt’altra qualità e prezzo. Volevamo ringraziare tutte le persone che ci hanno segnalato questa azione gravemente lesiva, già perseguita legalmente dai nostri avvocati. Purtroppo il mondo dei social appare ancora come un far west dove esistono leggi ma anche molte, troppe, scorciatoie per aggirare le truffe senza pagare il conto. Ma perché è successa a noi una cosa del genere?

Perché Crida è un simbolo sempre più preciso di un certo tipo di eleganza raffinata, italiana e senza tempo. A distanza di tre anni ha consolidato la sua immagine di quiet luxury, lusso possibile ma non sfacciato (quello raccontato dal nostro bellissimo video di presentazione della collezione invernale che trovate sul sito) che rappresenta una tendenza sempre più diffusa. Ma soprattutto Crida vuol dire abiti, un prodotto molto ricercato dal mercato perché difficile da trovare, e da fare bene. Crida ormai non è più solo un brand ma un modo di essere per una ben precisa tipologia di donna che vuole essere femminile ma pratica, glamour ma non appariscente e soprattutto vuole comprare consapevolmente una moda sostenibile. Questo spiega l’interesse di altre realtà dello sconfinato mondo del fashion verso la nostra immagine che però è molto complicata da copiare, perché la qualità dei nostri tessuti e la professionalità delle manifatture italiane che li confezionano, difficilmente si trova nei prodotti della moda low cost che per lo più produce nei paesi del terzo mondo, sottopagando la manodopera locale e contribuendo ad aggravare il problema della merce invenduta che prolifera nelle discariche di abiti cui vi ho parlato non molto tempo fa (vedi “Junk, armadi pieni”. Se non lo avete ancora guardato andate subito a farlo!).

Insomma diffidate delle imitazioni, dei prezzi troppo bassi e delle pubblicità con i nomi dei brand simili ad altri. Meglio comprare meno ma con attenzione, aiutare il mercato italiano e scegliere abiti che vi dureranno nel tempo.

La nuova collezione autunno-inverno di Crida è più che mai orientata verso questa tendenza forte del mondo fashion, fatta di stile ma anche di responsabilità e consapevolezza verso il pianeta. Ed è bellissima. Siete curiose? Allora andate a vedere il nostro sito dove troverete i veri Crida, tanti abiti da giorno e da sera facili da indossare e difficili da dimenticare.

È il momento di scegliere il vostro Crida per la nuova stagione e, se volete qualche ispirazione, seguiteci nelle nostre trasferte di settembre: io e Daniela saremo come sempre alla Mostra del Cinema di Venezia e poi qualche giorno a New York. Perché la moda, specchio della società, non si ferma mai e noi di Crida nemmeno!

Cristina

Crida Milano | Editoriale Luglio

Care amiche e cari amici che ci seguite da tempo, ormai saprete che l’editoriale di luglio è dedicato soprattutto ai saluti e alle prossime vacanze. Avete già fatto le valigie per il mare? O prenotato qualche bel viaggio per godervi un po’ di meritato riposo? Immagino che avrete messo nel trolley un abito colorato e leggero di Crida per questa estate che si preannuncia bollente… Noi non siamo ancora pronte a staccare perché i mesi di luglio e agosto sono particolarmente impegnativi per la produzione della prossima stagione invernale che deve essere spedita ai negozi e per la creazione della nuova collezione Spring-Summer 24 che deve essere finita e fotografata per poter essere pronta alla campagna vendita di settembre-ottobre. Quindi io e Daniela abbiamo corso come matte, come sempre, per rispettare tutte le scadenze (fare moda è una lotta continua contro il tempo, ve lo garantisco) e tutt’ora siamo ancora impegnate a fare in modo che al ritorno dall’estate possiate trovare sul nostro on line e nei negozi i capi autunno inverno di Crida.

Molte di voi ci chiedono anticipazioni e trunk show per poter preordinare fin da ora, in anticipo, gli abiti della nuova collezione. Anche questo è un obiettivo che ci siamo date e che vogliamo realizzare: potete chiedere al nostro contatto social (telefono o mail) le foto e i prezzi della nuova collezione Madama e assicurarvi l’acquisto del modello che avete scelto e che riceverete a casa al ritorno dalle vacanze.

Nel frattempo continuiamo a lavorare, io e Daniela sempre in macchina, il nostro ufficio viaggiante, per raggiungere le manifatture, per le riunioni nello showroom di Milano, per meeting coi collaboratori e, ogni tanto, per partecipare agli eventi che tra Bergamo e Milano riempiono le serate estive di magnifiche occasioni e che ci permettono di indossare i nostri abiti freschi e leggeri, perfetti per ogni situazione. E lasciatemi dire che sono davvero felice di tutti i complimenti che riceviamo io e Daniela quando siamo in giro soprattutto da parte di donne che ci seguono e apprezzano il nostro stile.

È anche vero che, osservando la gente per le strade, mi capita di vedere sempre più spesso ragazze e signore praticamente svestite, con shorts o gonne cortissime e poco altro sopra. È vero fa caldo, ma le temperature alte non giustificano a mio parere la mancanza di eleganza e di buon gusto. Come giustamente hanno fatto notare sul Corriere della Sera due firme della moda autorevoli, anche se con storie professionali e anagrafiche diverse (parlo dell’immensa Lina Sotis e della bravissima Michela Proietti): c’è un’età e un luogo adatto ad ogni abbigliamento. Gli hot pants inguinali, le pance scoperte e le infradito lasciamole alle spiagge o alle località di mare che frequenteremo questa estate: in città una donna elegante indossa un abito, magari sbracciato e di tessuto leggerissimo, una gonna di cotone e dei sandali comodi, non il copricostume! E se ancora non avete nell’armadio un capo che vi renda femminili e raffinate e nello stesso tempo sia fresco e facile da indossare continuate a seguirci sui social perché a fine luglio per chi ama gli acquisti last minute ci sarà una bella sorpresa che riguarda gli abiti della collezione estiva… ma solo per i nostri follower, per chi riceve le notizie attraverso la newsletter e gli editoriali.

Buone vacanze, buona vita e buon riposo a tutte. Ci risentiamo a settembre con mille sorprese.

Cristina e Daniela

Crida Milano | Editoriale Giugno

Angelina Jolie è l’ultima in ordine di tempo fra le celebrities ad avventurarsi nel mondo della moda ma, a differenza di molte altre colleghe e colleghi famosi, lo fa a modo suo tenendo un profilo decisamente basso e per questo ancor più interessante. Lungi da lei l’idea di produrre indumenti da distribuire nei centri commerciali o di inseguire le ultime tendenze del fashion, l’attrice, da sempre paladina dei diritti umani e delle politiche ambientaliste, chiarisce subito di voler usare solo materiale vintage e tessuto deadstock per le sue creazioni e anche di voler puntare non sui loghi e sull’immagine del brand ma sulla valorizzazione di produttori, fasonisti e sarti, quindi sulla manodopera meno conosciuta di questo settore. Mi ha incuriosito questa novità che riguarda un’attrice da sempre molto controcorrente e super impegnata nel sociale. Di solito le grandi star, dalle Kardashian a Sara Jessika Parker a Jennifer Lopez per citare solo le tre più note, hanno creato con il loro nome veri e propri imperi di fast fashion, di cui forse non si sentiva la necessità, con una massiccia distribuzione in grandi magazzini e store di lusso: prezzi altissimi, materiali non proprio sostenibili, unico valore il nome del brand.

L’Atelier Jolie, così si chiama la nuova avventura imprenditoriale di Angelina, sembra orientato verso obiettivi diametralmente opposti, tanto da definire la sua nuova impresa un collettivo.

I designer, dice la Jolie, spesso disegnano o approvano disegni, ma sono i sarti quelli che fanno la differenza, anche se purtroppo sono proprio quelli che vengono meno valorizzati e apprezzati. Il suo Atelier invece deve essere un luogo in cui le persone creative possono collaborare con una famiglia esperta e diversificata di sarti, modellisti e artigiani di tutto il mondo. Sono molto curiosa di vedere che tipo di prodotto verrà realizzato: se somiglierà allo stile dell’attrice molto low profile, basico e materico nella scelta dei suoi outfit e sempre estremamente speciale, ma fin d’ora mi sento di apprezzare la scelta di mettere al centro la manodopera e l’artigianato in chiave sostenibile e inclusiva più che i maxi loghi e le campagne sugli schermi di Time Square.

A questo proposito mi ha colpito un’intervista a Brunello Cucinelli nella quale l’imprenditore e creatore di una vera e propria azienda famiglia in Toscana, sottolineava il problema che i fasonisti italiani, fondamentali e sempre più rari, facciano fatica a guadagnare abbastanza da convincere i figli a continuare questa professione. Le aziende manifatturiere, che producono in serie migliaia di capi guadagnano, ma i fasonisti, coloro che sono in grado di confezionare un capo d’abbigliamento attraverso un modello di riferimento (dato dal designer), quindi i sarti di una volta, non sono così ben retribuiti. Oggi il mercato della moda ricerca sempre più in Italia figure di questo livello, acquistando le aziende stesse e inglobandole in quelle dei grandi brand, con la conseguenza di fare sparire questa figura professionale artigianale che prima si tramandava da padre in figlio.

Noi di Crida, anche se per altre strade, inseguiamo come Angelina Jolie una moda sostenibile e rispettosa di persone e ambiente e facciamo fatica a trovare fasonisti alla nostra portata proprio perché non abbiamo ancora i numeri dei mega brand ma non possiamo nemmeno produrre migliaia di abiti in una sartoria. Eppure le piccole medie aziende rappresentano il tessuto produttivo più importante che sostiene l’economia italiana e come tale dovrebbe essere maggiormente aiutato e tutelato dal governo. L’artigianato italiano nel settore moda rappresenta un’eccellenza straordinaria: sarebbe bello che continuasse a vivere autonomamente e non si dovesse svendere ai grandi gruppi mangiatutto del lusso globale.

Se siete, come penso, appassionate di moda e se siete, come spero, persone consapevoli e interessate, guardate la serie Junk – Armadi pieni. Troverete probabilmente qualcosa che fotografa i vostri comportamenti e che sicuramente tocca le vostre coscienze.

Compriamo tutti troppo: si chiama oniomania la sindrome figlia di questi tempi che spinge all’acquisto sfrenato e impulsivo creando una vera e propria emergenza all’ecosistema mondiale. Ovviamente il problema non parte da qui, è a monte nell’industria del settore, ma anche le scelte individuali possono fare la differenza. E Junk lo spiega molto bene.

Partiamo da questo dato: nonostante si compri troppo e male oggi l’industria del fashion produce ancora di più. Pensate che solo un terzo dell’abbigliamento che arriva nei negozi viene acquistato e quel che resta di capi e accessori invenduti continua ogni anno ad alimentare le mega discariche di abiti.

Ma prima di arrivarci nelle discariche molto spesso questa merce compie viaggi immensi intorno al globo come ha chiarito un’inchiesta interessantissima dell’Internazionale che ha indagato sui resi di Zalando (anche 480 ordini al minuto, metà dei quali viene rimandata indietro). Tracciando con micro GPS dieci capi comprati online e restituiti, ha potuto verificare che nel giro di due mesi questi vestiti hanno percorso quasi 30.000 km tra Svezia, Danimarca, Germania, Polonia e poi di nuovo Svezia prima di arrivare in un centro di stoccaggio dove dovrebbero essere distrutti, ma nessuno lo conferma. E parliamo di uno dei giganti dell’industria dell’abbigliamento che dice di voler essere sostenibile. Il settore moda online, anche a causa dei resi, emette più anidride carbonica di tutti gli aerei e di tutte le navi del mondo messe insieme.

Ma torniamo alle discariche.

La docuserie Junk prodotta da Will Media e Sky Italia e realizzata da Olmo Parenti (giovane e bravissimo video maker già autore di film di denuncia come “One day one day”) mostra le immagini che non abbiamo mai visto di vere e proprie montagne di vestiti grandi come una città, e racconta la storia di persone ed ecosistemi che subiscono direttamente l’impatto negativo del fast fashion: dal Ghana al Cile, Indonesia, Bangladesh, India e Italia.

Pensate che solo in Europa vengano scartati 5,8 milioni di tonnellate di vestiti ogni anno (11kg di scarti di vestiti a persona!). In Ghana ogni settimana arrivano 15 milioni di vestiti. Finiscono sulle spiagge nelle città e, come dice a “Io Donna” Matteo Ward (conduttore e coautore della serie), questi nostri scarti diventano i nuovi colonizzatori dei paesi poveri. Se a ciò si aggiunge lo sterminio di 300 milioni di alberi in Indonesia per fare spazio alle coltivazioni di rayon (che ricordiamolo è una fibra naturale perché ricavata dalla corteccia ma si ottiene con un processo chimico e con coltivazioni intensive) a scapito delle comunitè di nativi della giunga e del loro ecosistema, si capisce facilmente che quello della esagerata produzione del fast fashion è un problema colossale e che non si è ancora sufficientemente informati sui danni che sta provocando all’ambiente. Ciò che sappiamo è che il 10% delle emissioni di carbonio e il 20% dell’inquinamento oceanico deriva dal settore moda e, altro dato impressionante, su 75 milioni di lavoratori meno del 2% vanta un salario degno di sopravvivenza. Se fino a qualche decennio fa conoscevamo quasi sempre chi tagliava e cuciva i nostri vestiti oggi è impossibile per il consumatore risalire alla filiera produttiva fatta di un circolo assai poco virtuoso di infiniti subappalti, soprattutto nei paesi più poveri.

L’attenzione a questo problema da parte dei grandi gruppi, va detto, è sempre più alta. Oggi non si può nella moda fare comunicazione senza raccontare di essere ecofriendly ma a sentire gli esperti di questo settore in realtà nessun marchio riesce a essere totalmente sostenibile. Ci sono vari modi di esserlo ma certo per i brand più giovani il processo da seguire è molto più costoso. Lo sappiamo bene noi di Crida che fin dall’inizio abbiamo deciso di creare i nostri abiti solo con tessuti naturali e senza fibre di poliestere, anche se questi tessuti costano molto di più. Ancora di più se si tratta di sete e cotoni italiani: quelli che acquistiamo noi e che non arrivano dall’Asia evitando così di far viaggiare le merci e riducendo l’inquinamento. Grazie all’attivismo di organizzazioni importanti come Fashion Revolution Italia e alle richieste di molte ONG, l’Unione Europea è finalmente intervenuta per regolare la legislazione sul tessile con una legge che entro due anni renderà obbligatorio l’eco design che obbligherà le aziende a usare solo materiali riciclabili e a essere responsabili dei prodotti che creano in eccesso, destinando questa massa incredibile di capi al riciclo e allo smaltimento. Ma ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte.

Comprare meno e comprare meglio è un mantra che io e Daniela ripetiamo dalla nascita di Crida. Ora aggiungiamo: produciamo meno e produciamo meglio. Solo se ci sarà un cambiamento radicale nell’etica del business delle grandi aziende e nell’acquisto più consapevole della gente si potrà porre rimedio ai disastri ecologici e ambientali che alcune aree del mondo stanno subendo. Nessuno può far finta di non sapere e ognuno può agire meglio. Quello che mi è piaciuto di Junk è il fatto che sia un progetto nato per generare consapevolezza su una emergenza mondiale forse ancora poco nota, ma anche volto a farci capire che il cambiamento è ancora possibile e che in questa partita per salvare il pianeta tutti abbiamo un ruolo da giocare.