Editoriale Marzo
Le sfilate di questa fashion week avrebbero dovuto essere una grande festa e consolidare la ripresa del settore dopo due anni difficili e invece si sono concluse nel silenzio irreale dello show di Armani. “La mia musica è il battito del cuore” dice re Giorgio emozionato, addolorato e scosso come tutti noi di fronte a ciò che ci fa paura e che non conosciamo: una guerra in Europa. Eppure sembrava davvero essere iniziata bene questa settimana, con tanti buyers stranieri, i negozi pieni e persino il sole a benedire la ritrovata normalità a Milano. L’annuncio dell’invasione lanciata da Putin all’Ucraina (lasciatemelo dire, senza alcuna giustificazione) fa precipitare di nuovo tutti nello sgomento e nella paura. E tra i tanti commenti indignati di fronte all’aggressione di un popolo libero, che condivido pienamente e ai quali mi unisco, hanno iniziato a circolare anche riflessioni, assai meno giustificate, sul distopico contrasto tra le bombe lanciate da Mosca e la settimana della moda milanese, considerata la quintessenza della frivolezza estrema, il regno del lusso e della futilità.
La settimana della moda, se ancora qualcuno non l’avesse capito, rappresenta in realtà il lavoro di centinaia di migliaia di addetti al lavoro in un settore che vale 90 miliardi di euro di fatturato ed è a tutti gli effetti la seconda voce del PIL nell’economia italiana. “Fermate le sfilate”, gridato con indignazione sui social è un’affermazione senza senso visto che i soldi della moda che entrano nelle casse dello Stato contribuiscono, ad esempio, a farci avere una sanità gratis. Il problema vero è che una parte di società ancora associa il mondo della moda a qualcosa di inutile e fastidiosamente vistoso, invece che ad un comparto nel quale l’Italia eccelle nel mondo e che quindi è strategico e fondamentale per il nostro Paese. E mi viene il dubbio che la responsabilità di questa visione distorta e riduttiva di quella che è in realtà un’eccellenza assoluta sia anche dovuta al racconto che i media tradizionali fanno della moda stessa, occupandosi delle creazioni dei designer solo quando sono folli ed esagerate o in occasioni di scandali finanziari o relazioni sentimentali dei protagonisti. La moda ha sempre raccontato la società, anticipato tendenze, fotografato il mondo che stiamo vivendo con una forza, una creatività e una potenza che non può essere liquidata come frivolezza. E la scelta di Armani, il più grande di tutti, di far sfilare le modelle nel silenzio assoluto della sala, è un segno fortissimo della sensibilità di questo immenso designer nei confronti della situazione drammatica che stiamo vivendo. È molto facile scrivere insulti sui social a Chiara Ferragni che posta “the best of these days” mostrando immagini super glamour in contemporanea con le strazianti immagini di Kiev, ma associare a quello di una influencer globale il lavoro importante e assai meno visibile di centinaia di aziende che in questi giorni culminava nelle sfilate, è banale oltre che sbagliato. Ora la moda si sposta a Parigi, come è giusto che sia, mentre Putin annuncia l’allerta nucleare.
Invece di inveire contro i professionisti della moda e scrivere veti insensati proviamo ad usare i social per un obiettivo molto più alto: fermare chi come Putin non ha rispetto per la democrazia e la libertà. Organizziamo marce per la pace, indirizziamo il nostro sdegno verso un dittatore che non rispetta i diritti sacrosanti dell’autonomia nazionale e della democrazia. E ringraziamo un gigante come Armani che di fronte a questi giorni confusi di guerra e fashion week, tra l’ottimismo della ripresa e il baratro di un conflitto che ci tocca da vicino, in mezzo ad una primavera arrivata in anticipo e la minaccia di un inverno che sembra medioevale, ha saputo senza aggiungere inutili parole dare un segno forte di sgomento, di incredulità e di dolore. Il silenzio.
Grazie Giorgio.